(ANSA) – VENEZIA, 4 SET – Venezia 79 ha trovato il suo primo coup de foudre: applausi alle proiezioni, ovazioni alla conferenza stampa, tutti pazzi per ‘ARGENTINA, 1985’ di Santiago Mitre e già si parla di Coppa Volpi per il protagonista Ricardo Darin e di premi per il film, almeno ad ascoltare le reazioni alla
premiere. Ci si emoziona, ci si commuove, si ride perfino, si sta attenti come non capita quasi più, per seguire il primo film che racconta una storia realmente accaduta e certo non dimenticata: il primo processo che nel 1985 portò alla condanna di Videla e di altri militari della feroce dittatura argentina per il loro tentativo di genocidio degli oppositori politici. 30mila persone morirono nei modi più atroci, vittime di torture di ogni sorta e a raccogliere le prove, sottraendo Videla e gli altri macellai alle coperture di un processo militare, fu un pubblico ministero di Buenos Aires, diventato eroe nazionale, il pm Julio Strassera, con il suo incredibile staff di giovanissimi avvocati inesperti, visto che tutti gli altri colleghi si erano defilati dal pericoloso incarico, un’armata brancaleone che trovò testimoni, vittime sopravvissute con annunci sul giornale e alla radio e li convinse ad affrontare il trauma e ad inchiodare i colpevoli con migliaia di prove. Un “cinema necessario”, hanno detto oggi Mitre, i produttori, gli attori. Tanto più con quello che è accaduto giovedì in Argentina con l’attentato alla vicepresidente Cristina Kirchner, finito ‘bene’ solo perché la pistola dell’attentatore non ha sparato. “L’Argentina è sotto choc, tutti noi lo siamo, – ha dichiarato all’ANSA il regista -, eravamo in aereo da Buenos Aires arrivando a Venezia e siamo venuti a conoscenza del fatto una volta atterrati, qualcosa di orribile. Nessuno di noi ha pensato che sarebbe potuto accadere, credevamo che il processo del 1985 significasse chiudere con la violenza come possibilità politica, pensavamo che quello storico Nunca Mas, Mai più, la frase con cui il pm chiude l’arringa nel processo che porterà Videla all’ergastolo, significasse davvero non si torna indietro”.
“Siamo orgogliosi del film, sentivamo che era importante, l’oblio deve lasciare posto alla memoria, quei morti sono nella bandiera argentina, ricordarli è un nostro dovere e ci sentiamo orgogliosi come argentini che ci sia stato questo processo, non c’è democrazia senza giustizia”, ha detto il regista. Lui era un ragazzino in quegli anni, ma nel cast c’è chi ha vissuto quel periodo, “non c’è famiglia in Argentina – ha detto il protagonista Darin – che non abbia vissuto qualche sparizione, qualche episodio terribile, dolori, tutti i santi giorni succedeva qualcosa, era il terrorismo di Stato e tutti sapevano per quanto nessuno, almeno fino al processo del 1985 e alle prove schiaccianti che vennero fuori, con una incredibile eco mediatica, pensava che potesse essere stato così feroce”. Alejandra Flechner, che nel film è la moglie del pm, quasi si commuove a parlare: “Ho vissuto la dittatura, è come un tatuaggio sul mio corpo, puoi non pensarci ma è dentro di te, ha condizionato la tua gioventù, per questo un film così è necessario, è il passato che illumina il presente. E’ stato il primo di tanti processi che ancora oggi vanno avanti e per le nuove generazioni quello che è accaduto va raccontato”. Darin si è trasformato anche fisicamente nel vero pm Strassera, “ma quello che era più importante di tutto era mostrare il fattore umano, le caratteristiche di questo magistrato, della sua famiglia e dei giovani avvocati, l’umorismo è catartico. Mantenere vivo il ricordo fa parte della battaglia per non dimenticare ed in questo il cinema ha una grande parte”. Il film è prodotto da Amazon Studios.
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