Il regista francese Jean-Luc Godard è morto a 91 anni. Lo ha riportato “Liberation”. “Un regista totale con mille vite e un’opera tanto prolifica” scrive il quotidiano. Figura chiave della Nouvelle Vague, nella sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti: una Palma d’oro speciale a Cannes, un Leone d’oro alla
carriera e un Leone d’argento alla Mostra di Venezia, il César e il Pardo onorario e l’Oscar alla carriera nel 2010.
Godard ha girato film e parlato con una libertà radicale di chi non ha mai voluto compiacere, o cercato riconoscimento. Gli avversari lo hanno incolpato di aver fatto un cinema diventato col tempo inintelligibile, senza pensare allo spettatore. Ha realizzato oltre 150 opere tra film e video. Fra i più celebri, quello che viene considerato il manifesto della Nouvelle Vague, “A bout de souffle” (All’ultimo respiro), girato nel 1960, protagonisti Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg. Poi, “Il disprezzo”, con Brigitte Bardot e Michel Piccoli, “Pierrot le fou” (“Il bandito delle 11”), sempre con Jean-Paul Belmondo, e “Su salvi chi può (la vita)”, con Isabelle Huppert.
“E’ ora di smetterla di fare film che parlano di politica. E’ ora di fare film in modo politico”. Nonostante le sue origini benestanti (nato in una famiglia dell’alta borghesia parigina d’origine svizzera), rimane un esempio di un cineasta rivoluzionario e antiborghese che ha usato la macchina da presa come strumento di indagine, lente di ingrandimento sulla società.
Si avvicina al cinema tramite la critica, scrivendo per i famosi “Cahier du cinéma” e da una collaborazione con François Truffaut nasce il suo primo folgorante lungometraggio, “A bout de souffle” primo modello di trasgressione ai modelli narrativi tradizionali che caratterizzerà la Nouvelle vague. Questo primo periodo fino al 1967 vedrà un’attività frenetica che porta addirittura all’uscita di 16 film che fanno storia, tra cui “Le petit soldat”, “Une femme est une femme”, “Le mépris”, “Bande à part”, “Une femme mariée”, “Weekend”, “Deux ou trois choses que je sais d’elle”.
Poi rompe l’amicizia con Truffaut per questioni di ideologia politica ed estetica, prende le distanze dalle correnti in voga, ritagliandosi un ruolo di polemista: sceglie la via dell’impegno politico e dirige “La chinoise”, “Vento dell’est” con Gian Maria Volonté e “Tout va bien” con Yves Montand. Negli anni 70 si propone come pioniere delle nuove tecnologie. In parallelo sviluppa anche un’estetica e una linguistica del cinema assolutamente fuori dagli schemi. Dopo un periodo di blackout torna al cinema negli anni 80 con titoli che non mancheranno di suscitare polemica e scandalo tra i benpensanti, “Passion”, “Prénom Carmen”, “Je vous salue, Marie”, “Detective”, fino a “Nouvelle Vague”.
Da qui inizia l’ultima fase della sua carriera: il suo ultimo “Le livre d’image”, presentato al Festival di Cannes nel 2018 ha ricevuto una Palma d’oro speciale. Sulla Croisette ha anche vinto il Premio della Giuria nel 2014 per “Adieu au langage”. Ha vinto anche alla Berlinale con “A bout de souffle”, “Une femme est une femme” e “Masculin-Féminin”. A Venezia ha conquistato il Leone d’argento per “Vivre sa vie”, “La chinoise” e quello d’oro per “Prénom Carmen”. Ha ricevuto il César e il Pardo onorario e gli è stato conferito l’Oscar alla carriera nel 2010. (dal tgcom)
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