Cinema4Stelle

Fast X Recensione Poster

trascinano con due auto lungo le strade facendola all’evenienza carambolare a destra e a sinistra come una palla scagliata da una fionda contro gli altri mezzi in arrivo. Bene, scopriamo ora che quella cassaforte era di Jason Momoa e che adesso vuole vendicarsi. Fine della sceneggiatura. Momoa non vuole solo vendicarsi, vuole far soffrire Toretto e qui gli sceneggiatori hanno dovuto far riposare le meningi. Una bomba di non so quanti megatoni che ruzzola per mezza Roma con Toretto che la insegue in macchina dandole un colpetto di qua e uno di là per indirizzarla laddove non può causare danni e un’altra mezz’ora di film è andata. Al posto della sceneggiatura Fast X sperimenta infatti un’inedita struttura non-struttura che tecnicamente potrebbe definirsi come un accumulo di minchiate (termine di origine latina da cui anche la celebre locuzione “ad minchiam”, come il compianto professor Scoglio insegnava) via via sempre più grosse, giustapposte una di seguito all’altra senza logica apparente. Nessuna regola è rispettata, nessuna grammatica, nessun principio di scrittura pare essere applicata, non esiste costruzione drammaturgica, non esiste suspance né attese né climax, ogni elemento viene rivelato nel momento stesso in cui lo si cita, le soluzioni appaiono tutte estemporanee, improvvisate su due piedi, a fronte di ogni problema c’è sempre qualcuno che conosce “un posto” e il problema è risolto, gli innumerevoli personaggi che popolano l’ universo di F&F entrano ed escono a casaccio come se si trovassero a passare di lì per sbaglio, muoiono, resuscitano, si materializzano d’incanto come in una sorta di performance situazionista, puro teatro dell’assurdo (non sapremmo come altro definire, per esempio, la comparsa di Brie Larson – la cui magrezza è inversamente proporzionale all’impegno messo nella recitazione – in completo blu elettrico sul cofano di un’auto nel mezzo di un’autostrada). L’importante è che nelle situazioni più disparate e disperate ci sia comunque Toretto al volante, che guida una macchina e che ingrana una marcia, perchè c’è sempre una marcia da ingranare e perchè se c’è Toretto al volante, anche la situazione più disparata e disperata si appiana. A fargli da contraltare Momoa carico a pallettoni che spunta ovunque, ride, si agita, apre le braccia e dà di matto vestito da cretino. Ci troviamo innanzi ad un caso più unico che raro di analfabetismo cinematografico scientemente perseguito che inaspettatamente, alla lunga, ottiene i suoi frutti producendo effetti ipnotici e di assuefazione in chi guarda, ormai arreso inerme e vinto di fronte a cotanta spudorata e divertita inverosimiglianza (dirige Louis Leterrier, regista di grana grossissima al cui confronto Justin Lin sembra Antonioni), come se i produttori avessero voluto far tabula rasa di tutte le sovrastrutture intellettuali per tornare ad un tipo di intrattenimento ingenuo e spontaneo, di fanciullesco candore. Fast X in tal senso è come le iscrizioni rupestri, è il mito del buon selvaggio, è Modigliani che rifà le teste africane, è l’Art Brut di Dubuffet, è Picasso che dice: “a 12 anni dipingevo come Raffaello però ci ho messo tutta una vita a imparare a dipingere come un bambino”. Come dite? L’abbiamo sparata grossa? E vabbè, tanto, minchiata più minchiata meno. In attesa di Fast X parte seconda di imminente uscita. (La recensione del film “Fast X” è di Mirko Nottoli)