Bisogna tornare al 1924 per parlare de “Il navigatore (The Navigator)”, film muto diretto da Buster Keaton e da Donald Crisp. Ancora oggi annoverato tra i caposaldi del cinema di quel periodo, sembra anche strizzare l’occhio a un
presente dove, oltre ai capitani e i comandanti visti come indiscussi protagonisti, il mare è perennemente un elemento essenziale, sia per la quotidianità che per il mezzo cinematografico. Quasi onnipresente in tutti i generi, il mare ha il potere di trasmettere sensazioni e stati d’animo sempre diversi e soggettivi, a tal punto da riuscire continuamente a imporsi sul grande e piccolo schermo richiamando un gran numero di spettatori, interessati e appassionati. Ma tornando al film di Buster Keaton, “Il Navigatore” ha altri due protagonisti, oltre al mare: un giovane miliardario, interpretato da un Keaton al quale un solo “ruolo” per il film stava stretto, e la figlia di un magnate alla quale lui fa disperatamente il filo. Lui, spocchioso e antipatico, lei ben educata, ma sempre riluttante ad accettare concretamente le avances e la corte spietata del giovane. A causa di un complotto di spionaggio i due si ritrovano a essere gli unici passeggeri a bordo di una nave enorme ormeggiata in un porto. I due sono costretti alla convivenza forzata in un viaggio letteralmente alla deriva, con la nave che si sposta senza una meta ben precisa e soprattutto senza una meta nota ai due passeggeri. Cercheranno, quindi, oltre a sopravvivere anche a fare buon viso a cattivo gioco accettando la presenza l’uno dell’altro, anche nelle situazioni più assurde e impreviste, come il rapportarsi con una tribù di cannibali che abitano in un villaggio nel quale sono costretti a sbarcare. Come detto, Keaton è sia regista che attore principale. Nonostante il doppio (in realtà non solo) ruolo, l’artista dimostra, però, una più che buona padronanza della macchina da presa e un’attenzione per lo spazio che va di pari passo con la storia mostrata. L’esagerazione che, portata al limite massimo, diventa divertente, è resa anche e soprattutto grazie al rapporto con lo spazio circostante che alimenta la semplificazione o la complicazione delle azioni. Bisogna, poi, considerare naturalmente il periodo storico e gli strumenti a disposizione. Considerando tutto Keaton riesce comunque a realizzare una messa in scena con effetti speciali efficaci che colpiscono sia per lo scopo per il quale vengono utilizzati sia per la loro avanguardia. Considerato, a ragione, una delle migliori prove di Buster Keaton come attore e regista, “Il navigatore” ha il grande pregio di essere un’opera estremamente creativa seppur con una linea narrativa semplice. Tutta la narrazione “costretta” in uno spazio chiuso, quello del transatlantico non inficia nella creatività e nel ricorso a elementi innovativi da parte del regista. Quelle che vengono mostrate sono delle (dis)avventure in pieno stile “Robinson Crusoe”, seppur in chiave umoristica rispetto ai drammatici eventi di quest’ultimo. Al centro della storia c’è una vera e propria lotta di sopravvivenza che è resa in maniera ridicola a causa dell’incapacità dei due protagonisti, viziati miliardari, i cui difetti e modi di fare sono volutamente accentuati all’ennesima potenza. Tutti questi elementi fusi insieme e saggiamente mescolati all’apparente staticità e chiusura degli spazi rendono “Il navigatore” uno dei film più riusciti (e apprezzati) di Buster Keaton. Tra l’altro un film nel quale la regia, come anticipato, è curata non solo da Keaton, ma anche da Donald Crisp, celebre caratterista del cinema americano, noto all’epoca per aver partecipato ad alcuni film di Griffith come, per esempio, “Giglio infranto”.
Uno degli aspetti che si possono “recriminare” al film di Keaton è il mancato approfondimento dei personaggi, per favorire una narrazione più che riuscita, sotto tutti i punti di vista. Come detto, bisogna considerare il periodo storico e i mezzi a disposizione. Prima di concludere non si può non citare una scena, o meglio due, in particolare quella dell’inseguimento fra i ponti della nave e quella dello “scontro” coi cannibali. Entrambe meritano di essere menzionate perché sottolineano il talento comico-tecnico di un artista, che, con questo titolo (e non solo), per certi aspetti, sembra quasi eguagliare Charlie Chaplin. Insomma un film che, da racconto avventuroso/sentimentale, si trasforma poi in un saggio da antologia sull’arte della sopravvivenza. Bianco e nero, pochi mezzi a disposizione, stratagemmi e risorse ancora in via di sviluppo, ma nonostante tutto questo il prodotto finale confezionato da Buster Keaton è più che lodevole ed è la dimostrazione della grandezza e dell’inventiva di uno dei più importanti geni dell’epoca. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI. (analisi critica a cura di Veronica Ranocchi)
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