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L’ultima volta che siamo stati bambini Recensione Poster

ingombranti, padri assenti, padri di cui doversi vergognare. Camerati, il mito del Duce, uomini in orbace, eroi di guerra, ebrei cattivi, la grande nazione italica dove i treni arrivano in orario. Agli occhi dei bambini tutto si trasfigura, tutto si tramuta in gioco anche se i traumi, dentro, poi restano. L’esordio alla regia di Claudio Bisio è una favola dolce e amara che fa poco ridere, lieve e poetica com’è nelle corde, malinconiche, surreali e fanciullesche, del comico che al mondo dei bambini si è spesso accostato. Una favola tratta dall’omonimo romanzo di Fabio Bartolomei, sceneggiata da Fabio Bonifacci (abituale collaboratore di Bisio), che si situa nel punto esatto in cui Stand by me incontra La vita è bella, non esente, forse, da un certo tasso di retorica, basata com’è su di un visione iper idealizzata dell’infanzia, età pura ed innocente per antonomasia, una visione stereotipata in cui i bambini sono tutti troppo buoni per essere veri, troppo maturi per non essere fastidiosi, troppo complici per essere credibili. L’ultima volta che siamo stati bambini è un esordio senza dubbio promettente, per molti versi spiazzante e coraggioso se è vero che una delle prime regole fondamentali del cinema vuole che mai si faccia un film con un bambino come protagonista. Bisio ne mette ben tre che stanno in scena da soli praticamente per quattro quinti dell’intera durata, relegando gli adulti, compreso se stesso, in ruoli più che marginali, riuscendo ad evitare le numerose insidie che tale scelta comporta ma non del tutto. Colpa anche di un eccesso di “sovrainterpretazione” soprattutto verbale, che riguarda i bambini ma anche gli unici due comprimari adulti (Marianna Fontana e Federico Cesari che si candida ad erede di Elio Germano), necessaria per tenere in piedi e vivacizzare una trama esile esile dagli snodi non sempre scorrevoli. Cionostante il film si fa apprezzare per l’onestà degli intenti volti a smascherare le fragile bugie dell’ideologia fascista e la leggerezza del tocco, riuscendo a piazzare alcuni momenti ben riusciti, di sentita aderenza emotiva ai temi trattati, su tutti il finale, vero e proprio pugno allo stomaco che ci riporta alla realtà e ci fa comprendere quanto poco la realtà assomigli ad una favola. (La recensione del film “L’ultima volta che siamo stati bambini” è a cura di Mirko Nottoli)