Ispirato alla novella di Lev Tolstoj “La morte di Ivan Il’ič”, il film di Akira Kurosawa “Vivere” è considerato da molti tra i migliori del regista. Un racconto riuscito ed efficace incentrato sulle sofferenze di un burocrate di Tokyo e la sua finale ricerca
del senso della vita. Protagonista Takashi Shimura, volto noto in molti film di Kurosawa e che qui presta il volto al dipendente Kanji Watanabe. Come nei più classici titoli di Kurosawa, anche “Vivere” è una sorta di metafora che, partendo da un caso individuale e specifico, suggerisce il malessere del Giappone del dopoguerra. Il film è diviso in due parti. Nella prima il piccolo funzionario Kanji Watanabe, capoufficio della sezione civile e vedovo da venticinque anni, scopre di essere in punto di morte a causa di un tumore allo stomaco. Tutto il mondo sembra crollargli addosso anche perché non ha nessuno in grado di aiutarlo, nemmeno il figlio Mitsuo che è, invece, solo interessato all’eredità. Quindi prende la decisione di ritirare tutto il denaro dalla banca e di godersi i pochi mesi che gli restano. Tra un giro per i night club di Tokyo e una frequentazione con una giovane ex-collega di ufficio, Watanabe ricorda di essersi occupato della trasformazione di una zona paludosa in un parco giochi per bambini. Per cercare, quindi, di dare un senso ai suoi ultimi giorni fa di tutto per far sì che questa trasformazione avvenga e che il terreno abbandonato possa essere un luogo di divertimento. La seconda parte, molto più breve, è incentrata sulle diverse reazioni alla vittoriosa battaglia del protagonista. Una perfetta metafora della vita (e della morte), ma anche di un periodo storico preciso (che poi si ripete ciclicamente). Ultimo, ma non meno importante il riferimento più che preciso e puntuale alla narrativa russa (da non dimenticare che il film è ispirato a una novella di Tolstoj). Nonostante il film di Kurosawa sia ambientato in Giappone, e “modellato” sulla base di quel mondo è inevitabile il richiamo alla narrativa di grandi autori quali Gogol e Dostoevskij. Sicuramente Kurosawa ha raggiunto risultati notevoli e significativi non soltanto nelle storie che parlano di Giappone nel Giappone (con il Giappone), ma lo ha fatto con film attraverso i quali ha potuto trattare argomenti contemporanei o che, ispirati, come in questo caso, a opere letterarie e quindi a qualcosa di classico e più “datato”, gli hanno permesso di plasmare l’argomento al meglio per renderlo il più vicino possibile al suo pubblico. E “Vivere” ne è la chiara dimostrazione dal momento che si tratta in tutto e per tutto di una meditazione sulla vita e sulla morte di una profondità incredibile, pur nella sua disarmante semplicità. La premessa, seppur drammatica, è semplice e più quotidiana di quanto si possa immaginare ed è ancora più vicina al pubblico grazie a una resa visiva che materialmente pone l’attenzione sul dramma come fosse qualcosa di condiviso. Anche se inizialmente è la voce fuori campo a spiegare la macchia scura che si vede chiaramente dalla radiografia, considerando che dopo poco anche il protagonista ne sarà a conoscenza, è come se si trattasse di una condivisione completa con lo spettatore che si sente parte integrante della storia e può calarsi in essa, anche se dall’altra parte del mondo o in un periodo storico completamente diverso. E questa semplicità alla base del racconto che vediamo mostrata nella prima parte del film contribuisce a rendere “Vivere” un film ancora oggi da non perdere: quello che, solo all’apparenza, appare come un messaggio banale e una visione del mondo cruda e drastica viene poi inglobato nella struttura complessiva dell’opera che plasma la semplicità rendendola universale. E non solo. Perché in questo film, oltre alla mescolanza di tanti temi e tanti aspetti, c’è anche una mescolanza di modi di narrare. Da una parte c’è la contrapposizione tra grazia e crudeltà, dall’altra quella tra realismo e sogno. E poi c’è l’enorme capacità di Kurosawa di riuscire a mettere al centro della
scena la malattia e trattarla in un modo tale da farci emozionare, ma non deprimerci. Al contrario la sensazione che si ha dopo la visione di “Vivere” è, come il titolo stesso preannuncia, quella proprio di vivere. Sembra quasi che il film voglia spronarci a fare proprio questo: vivere e farlo al meglio, gustando ogni momento e ogni istante. E poi grande emozione e umanità accompagnano i personaggi in una storia intensa e mai banale. Come un fiore nel deserto Watanabe si trasforma e noi insieme a lui, dal momento in cui viene a scoprire della malattia. Se fino a un attimo prima era il rigido e burbero collega con il quale nessuno parlava mai, improvvisamente si trasforma nella sua antitesi: qualcuno in grado di fare qualsiasi cosa pur di riuscire a vivere al meglio i pochi momenti che gli rimangono. E così, oltre che scoprire un mondo nuovo, scopre anche un Watanabe nuovo che nemmeno lui stesso conosceva. Nonostante questo e nonostante la spada di Damocle che incombe sulla sua vita ciò che suscita interesse è il fatto che lui riesca a cambiare nel senso non solo di vivere appieno la propria vita, ma di donarla e donarsi agli altri grazie al legame, quasi paterno, che intesse con la giovane ex collega. Ed ecco perché lo si può definire una sorta di eroe moderno. Qualcuno che riesce a cogliere il lato positivo da un evento drammatico e che riesce a trasformarlo completamente stravolgendo la propria vita e quella di chi gli sta intorno, come a cercare un senso a tutto ciò che lo circonda. Consapevole che questa presa di coscienza non è frequente, Akira Kurosawa (de)scrive un personaggio destinato a rimanere un’icona indistruttibile, non solo alla sua dipartita, ma anche allo scorrere inesorabile e inevitabile del tempo. Non è un caso, infatti, che il film sia sopravvissuto negli anni e che abbia trovato riscontri anche recenti con rivisitazioni e “remake”, ambientati, quindi, in altre epoche, in altri luoghi e in altri contesti, continuando a riscuotere incredibile successo. Un film che, nonostante la base di partenza e il tema centrale della prima (e, in qualche modo, anche della seconda parte), sprigiona positività e voglia di… vivere! Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI. (Analisi critica del film “Vivere” di Akira Kurosawa a cura di Veronica Ranocchi)
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