Il 4 giugno del 1994 si spegneva a Roma, tradito da un cuore fragile, Massimo Troisi, uno dei comici più amati del cinema e della televisione italiana. Nato 41 anni prima a San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli, era diventato celebre prima con il trio La Smorfia, insieme a Lello Arena ed Enzo Decaro, e poi sul grande schermo. Tra i suoi film più amati “Ricomincio da tre”, “Non ci resta che piangere”, “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” e “Il Postino”, per il quale ottenne una candidatura postuma agli Oscar.
Di cosa è morto Massimo Troisi. Trenta anni fa il cuore di Massimo Troisi si fermò, facendo perdere qualche battito anche a quello di tutti coloro che lo avevano amato e seguito. Quel cuore che sin da bambino era stato per lui un fardello portato avanti con grande dignità e discrezione. L’attore infatti aveva sviluppato una grave degenerazione della valvola mitrale in seguito a una febbre reumatica che lo aveva colpito da bambino. Già nel 1976 era stato operato a Houston una prima volta, e in quel giugno del 1994 era in attesa di un nuovo intervento. Qualche mese prima, durante un controllo si era evidenziato un deterioramento delle valvole e durante l’intervento per sostituirle era stato colpito da un infarto. La soluzione sarebbe stata un trapianto di cuore, ma lui insistette per girare prima il film che aveva in programma, “Il postino”, di Michael Radford. Un impegno portato a termine con grande fatica, quasi come una missione, tanto che il suo cuore smise di battere, nel sonno, poco dopo la fine delle riprese.
Nel grande film realizzato “a quattro mani” con Roberto Benigni, “Non ci resta che piangere”, i due protagonisti si svegliano nel Medioevo, a Frittole nel Millequattrocento, quasi Millecinque. Ecco, quel 4 giugno di 30 anni fa a noi è capitata la stessa sorte. Massimo ci aveva lasciati portando con sé la sua presenza gigante, ma gentile. Di colpo ci siamo ritrovati senza luce, come lui e Benigni nella locanda in cui si addormentano mentre fuori infuria il temporale.
La carriera di Troisi: dalle cantine a “La Smorfia”
Lo stesso buio entrambi lo hanno incontrato nei luoghi e sui palchi improvvisati di quello che alcuni hanno definito “teatro delle cantine”: la scenografia si spoglia del superfluo, l’attore è da solo e parla con se stesso, quindi con il pubblico, inscenando un unico, grande monologo. È un atto rivoluzionario di comunicazione, in un mondo e verso un mondo che non vuole ascoltare. Quel teatro, da cui prendono i passi “La Smorfia” di Troisi-Arena-Decaro e il Cioni Mario di Benigni, è una denuncia di incomunicabilità. Il grammelot Troisi, quel dialetto napoletano italianizzato, masticato, pestato dalla timidezza e da una condizione sempiterna di vessato, è la lingua di tutti i “moderni”, di tutti i “contemporanei”. Sono passati secoli da quando Pulcinella rappresentava le pulsioni di napoletani e italiani, ma la fame non è passata. Ha soltanto cambiato pelle. (dal tgcom24)
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