A Venezia 81 è arrivato “Vermiglio”, opera seconda di Maura Delpero (l’esordio “Maternal” era stato premiato a Locarno), in gara per il Leone d’oro nella pattuglia dei 5 italiani e poi in sala dal 19 settembre con Lucky Red. Accolto con grande calore, il film è un delicato affresco sulla femminilità letta con gli occhi della regista che ha raccontato le vicende di un piccolo paese del Trentino da cui proviene la famiglia. Da qui si snoda il racconto dell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale in una grande famiglia, l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino, farà perdere la pace alla giovane Lucia.
La storia di “Vermiglio”. “Vermiglio” si presenta come un Ermanno Olmi a colori, ma con un compiacimento estetico sicuramente più pronunciato rispetto a quello del maestro de “L’albero degli zoccoli” e con una storia molto spesso raccontata sottovoce, sussurrata. Ambientato sulle Dolomiti, al confine con l’Austria dove c’è la guerra, ma è lontana, il film sulle radici della regista, sulle cose di una volta, sulla vita di un’umanità ancora vicina alla natura e sul tempo che passa riproponendo sempre le stesse cose: nascite e morti e anche ovviamente qualche tragedia. Siamo nel 1944 a Vermiglio, paese italiano di alta montagna della provincia autonoma di Trento (dove è nato il padre della regista). Qui vive il maestro Cesare (Tommaso Ragno) diviso tra l’insegnamento in una pluriclasse, la passione per la musica classica e la sua famiglia composta da ben tre figlie adolescenti, Lucia, Ada e Livia molto affiatate tanto da condividere il letto. L’arrivo di Pietro (Giuseppe De Domenico), un soldato rifugiato (forse un disertore), porta al matrimonio della maggiore, Lucia (Martina Scrinzi), rimasta incinta. Private della sorella, Ada (Rachele Potrich) e Livia (Anna Thaler) sono divise dal favoritismo del padre. Ma il destino si accanisce ancora una volta su Lucia. Alla fine della guerra, il marito fa un viaggio nella sua Sicilia, dove un solo colpo di pistola rende vedove due donne. Lucia si rende infatti conto di essere stata solo “la sposa di montagna” di Pietro ucciso dalla prima e legittima moglie siciliana di cui lei ignorava l’esistenza.
Lucia intraprende quindi un viaggio fisico, ma forse anche solo immaginato, in Sicilia per affrontare il passato del marito e per accettare con piu amore la figlia Antonia che il loro matrimonio ha generato. Momento cult di ‘Vermiglio’ quando il maestro fa ascoltare ai suoi giovani alunni le Quattro stagioni di Vivaldi chiedendo loro di capire quale sia quella che stanno ascoltando. E lo scorrere delle stagioni, naturali e umane, come le regole del vivere sono forse al centro di ‘Vermiglio’ di cui colpisce appunto un detto popolare pieno di concretezza. Alla notizia della morte di Pietro che lascia una vedova e una figlia c’è chi dice: “Una puta in più da mantener e un omo in men che lavora”.
L’idea per il film. “E’ un film che nasce da un sogno avvenuto poco dopo la morte di mio padre, un evento triste a cui ha fatto seguito un evento molto felice, ovvero la sua apparizione in sogno. Era mio padre come non l’avevo mai conosciuto: un bimbo di sei anni nella casa della sua infanzia, in un paesino dell’alta Val di Sole”. La regista Maura Delpero ha svelato così in conferenza stampa la genesi di “Vermiglio”. “Mi ha dettato lui il momento del film, momento che poi ho trovato molto interessante – ha aggiunto la regista – Una fase di grande cambiamento, dopo le guerre mondiali, con il passaggio dal paese alla città, dal collettivo all’individuale. Con il paradosso della macrostoria che ritrova la pace e di una famiglia che perde la propria”. (dal tgcom24)
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