Ada Recensione. La recensione del film “Ada” di Rita Ricucci. Ada-Unclenching the Fists è l’opera prima di Kira Kovalenko, vincitrice del premio Un Certain Regard al Festival di Cannes 2021, in sala dal 14 luglio.
Siamo a Mizur, una cittadina dell’Ossezia, nel Caucaso. Chiusa nelle braccia di una catena montuosa, Mizur ha lo stesso volto della protagonista, Ada: impolverato, fatiscente, soffocato e trafitto dai residui di guerra. Ada, una Milana Aguzarova dalla recitazione intensa e vera, vive con il padre, Zaur, Alik Karaev, e il fratello Dakko, Khetag Bibilov. Vedovo da molti anni, Zaur si è occupato dei figli con la stretta di un padre-padrone e, mentre Dakko, iperattivo e cognitivamente minore alla media, si sottomette con ingenua docilità alle grinfie del padre, Ada risente della sua storia di giovane ragazza segnata da una violenza subita alla quale vorrebbe mettere fine, una volta per tutte, allontanandosi dalla città, dalla casa, dal padre. La sua unica speranza è il fratello maggiore, Akim, Alik Karaev, che oramai vive a Rostov, dove “ci sono molte possibilità”, dice. L’attesa del ritorno del fratello, la fiducia che lui possa portarla con sé è per Ada motivo per vivere la propria quotidianità fatta del lavoro in uno spaccio di vecchia roba usata e sopportando le avance di Tamik, il vivace Arsen Khetagurov, un giovane che sembra desiderarla pur senza preoccuparsi di conoscerla a fondo. Kira Kovalenko mette a frutto l’esperienza fatta sul set di Tesnota di Kantemir Balagov, anch’esso girato nel Caucauso e premiato allo stesso modo a Cannes 2017, tanto da far pensare che Ada possa essere un sequel dell’intima coscienza di Ilana, la protagonista di Tesnota. Certamente lo sguardo femminile sulla nuova protagonista, Adazda, Ada, segna abbastanza punti per rientrare in una buona narrazione della claustrofobia causata dall’impero maschile di cui la ragazza è circondata. Il padre la trattiene a sé nascondendo il suo passaporto e la chiave della porta di casa che chiude, ogni sera. Il fratello Dakko ha bisogno di lei tanto quanto un neonato della madre così che, neppure per dormire accetta il letto della sua stanza preferendo quello della sorella e del suo corpo. Perfino Takim si adopera con una insistenza tale da farlo apparire uno stalker. La macchina da presa di Kira Kovalko resta stretta sul volto e sul corpo di Ada, non lascia spazio a panoramiche o campi lunghi se non quelli tracciati, spiati attraverso i vetri dei furgoncini sui quali, sistematicamente Ada viene “recuperata”, quasi “rapita” sia dal padre che dal giovane Takim. Perciò, i pugni di Ada sono stretti in segno di protesta, di rabbia repressa. Il buio sovrasta le immagini, le riprese in casa sono movimentate come se anche la macchina da presa, come la stessa protagonista, cercasse lo spazio per fuggire, scappare. Gli esterni, invece, sono coì carichi di suoni da guerra, per esempio a causa dei giochi di ragazzi che lanciano petardi sui muri già divelti. La notte è buia più della notte stessa anche quando Takim cerca di portare Ada tra i suoi amici che non si vedono piuttosto si confondono nell’oscurità. È solo con il ritorno a casa di Akim che la sorella inizia a vedere uno spiraglio di luce. È lui la speranza, fraterna come paterna: “portami via”, implora Ada, “portami via da qui”. Forse, però, è proprio il buio che rende ancora giovane la regia di Kira Kovalko. Il talento nell’esplorare l’intimità femminile pare evidente e, in una sorta di neorealismo, porta lo spettatore ad avere la sensazione di invadere quei luoghi privati di una donna che devono, o quanto meno dovrebbero, rimanere sacri. Tuttavia il film sembra non avere lo spazio sufficiente a prendere il volo. Così, anche la scena finale: nonostante la rincorsa della macchina da presa sulle ruote al fianco della motocicletta di Akim, i frame restano contratti su loro stessi come fossero su una pista ancora troppo breve per poter vedere decollare il sogno di Ada. Quello che lasciano alle spalle, Akim e sua sorella, sono urla, confusione mista tra gioia e disperazione. L’unico orizzonte possibile per Ada, aggrappata ai fianchi del fratello-centauro è l’odore di lui, “lo stesso di papà”, dice: Unclenching the Fists… (La recensione del film “Ada” è di Rita Ricucci)
LA SCHEDA DEL FILM “ADA” (Unclenching the fists)
Regista: Kira Kovalenko – Cast: Milana Aguzarova, Alik Karaev, Soslan Khugaev, Khetag Bibilov, Arsen Khetagurov, Milana Pagieva – Genere: Drammatico – Anno: 2021 – Paese: Russia – Scenaggiatura: Kira Kovalenko, Lyubov Mulmenko, Anton Yarush– Fotografia: Pavel Fomintsev, Mukharam Kabulova – Durata: 1h 32 min – Distribuzione: Movies Inspired – Data di uscita: 14 Luglio 2022 – Il sito ufficiale del film “Ada”
Trama: Ada, film diretto da Kira Kovalenko, è ambientato nella cittadina mineraria e remota di Mizur, nell’Ossezia del Nord, dove un uomo di nome Zaur (Alik Karaev) si è trasferito insieme alla sua famiglia, ovvero i figli Ada (Milana Aguzarova), Akim (Soslan Khugaev) e Dakko (Khetag Bibilov). Zaur è un padre severo e rigoroso, che eccede in cure e iperprotezione, cosa che porta i suoi figli a sentirsi soffocati.
Il maggiore, Akim, è andato via per lavorare nella città più vicina, Rostov, mentre il minore, Dakko, non ha ancora realizzato pienamente cosa vuole dalla vita. Tra loro c’è Ada, che stanca dell’affetto opprimente paterno e della vita in un paesino sperduto tra le montagne, progetta una fuga. Il ritorno del primogenito, riporterà alla luce i traumi inespressi che hanno coinvolto la famiglia…
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