Si è spento nella sua casa di Roma Giuliano Montaldo. Aveva 93 anni. Con lui scompare uno degli ultimi di quella grande generazione di registi che ha fatto grande il cinema italiano a partire dagli anni Sessanta. Per scelta della famiglia non si terranno esequie pubbliche. Ha diretto film di impegno civile come “Sacco
e Vanzetti”, “Giordano Bruno”, “L’Agnese va a morire”. Suo il kolossal per la tv “Marco Polo”.
Con i grandi maestri del cinema. Nato a Genova il 22 febbraio 1930, dopo la guerra, il ventenne Giuliano Montaldo va alla scoperta di Roma. Il regista Carlo Lizzani lo chiama al suo fianco nel 1951 per “Achtung, Banditi!” dove si fa notare anche come attore. Nel film successivo di Lizzani “Cronache di poveri amanti” del 1954 c’è ancora una particina per lui ma intanto si impratichisce da regista rubando a tutti i segreti del mestiere: per Gillo Pontecorvo (con cui divide la casa a Roma) doppia perfino un cane nel documentario “Cani dietro le sbarre” e poi canterà in russo per doppiare un prigioniero nel lager di “Kapò”; Citto Maselli e Luciano Emmer gli insegnano la tecnica, Elio Petri per cui recita ne “L’assassino” del 1961 lo spinge a debuttare a sua volta dietro la macchina da presa.
L’esordio da regista. Con “Tiro al piccione” dello stesso anno, il cinema italiano scopre un nuovo talento ma basta il soggetto scelto per capire che Montaldo non ama le scelte facili. Infatti il film (come il successivo “Una bella grinta” del 1965) non gode dei favori della critica di sinistra e anche all’interno del PCI Giuliano dovrà difendersi da qualche processo sommario di troppo. Come del resto dalle accuse di oltraggio al pudore che piovono sul documentario “Nudi per vivere” sulla Parigi del sesso che firma nel 1963 insieme a Petri e Giulio Questi col bizzarro acronimo Elio Montesti.
Il successo. Incoraggiato da colleghi che resteranno amici veri tutta la vita (Lizzani e Pontecorvo sopra tutti), Montaldo capisce che è attraverso un uso intelligente dei generi popolari che può fare il “suo” cinema e che il vento internazionalista degli anni 60 può assecondare il suo gusto dell’avventura e del viaggio. Ecco allora thriller come “Ad ogni costo” con Edward G.Robinson e “Gli intoccabili” con John Cassavetes che conquistano la fiducia dei produttori. Il successivo “Gott mit uns” del 1970 ha ben altra ambizione: ambientato al crepuscolo della Germania nazista, il film dà l’avvio a una trilogia sulle aberrazioni del potere che dopo l’esercito prenderà di mira la giustizia (“Sacco e Vanzetti”, 1971) e la chiesa (“Giordano Bruno”, 1973). Anche grazie alla perfetta sintonia con Gian Maria Volonté che ne è memorabile eroe, i due film sono grandi successi popolari, ma non distolgono il regista dalla sua vocazione militante.
La tv. Poi recupera la storia partigiana e il copione di Franco Solinas per “L’Agnese va a morire”. Siamo alla fine degli anni ’70 e anche per Montaldo si aprono le porte della Rai e del cinema per la tv. Dopo la sperimentazione di “Circuito chiuso” (1978) la nuova sfida è il kolossal, la biografia di un viaggiatore che molto gli assomiglia. Con sua moglie Vera, Giuliano fa le valigie e parte per la Cina con “Il Milione” sottobraccio. Gli otto episodi del suo “Marco Polo” (1982-1983) sono un fiore all’occhiello per la tv e segnano la prima vera apertura della Cina comunista alle troupe occidentali dopo i viaggi pionieristici di Carlo Lizzani e Michelangelo Antonioni.
Tra cinema e incursioni da attore. Negli anni successivi sono ancora tante le avventure dell’eterno ragazzo del nostro cinema: le battaglie politiche all’interno dell’Anac (l’associazione degli autori), il cinema letterario (“Gli occhiali d’oro”, 1987 e “Tempo di uccidere”, 1989), Il documentario militante (fin da “L’addio a Berlinguer” del 1984), le incursioni da attore (con Nanni Moretti ne “Il caimano”, 2006, con Francesco Bruni in “Tutto quello che vuoi” del 2017 che gli è valso un David come miglior attore non protagonista). (dal tgcom24)
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