AMARCORD di Federico Fellini (Ieri, Oggi e Domani)


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Freud ci insegna che i ricordi, si fossilizzano nel nostro inconscio: talvolta è possibile che riaffiorino, ma ci appariranno scoloriti, distanti e poco chiari.. come se fossero vecchie foto ingiallite dal tempo.. o almeno,

AMARCORD di Federico Fellini

AMARCORD di Federico Fellini

questo è ciò che capita ad un uomo comune. Ma cosa accade invece nella psiche di chi è passato alla storia come l’uomo dei sogni? Colui che è riuscito a portare il meraviglioso e colorato mondo onirico nella monotonia grigia della vita quotidiana? Nel 1973 l’uomo in questione, ci permette di fare un salto all’interno dei suoi ricordi, portandoci a spasso nella Rimini degli anni ’30: stiamo parlando del grande Fellini, che con Amarcord è riuscito a catturare in una pellicola le sensazioni della propria adolescenza. Il film si presenta come un affresco umoristico e commosso dell’Italia dell’epoca, costantemente filtrato da una memoria deformata e infedele. Il regista mette in atto un particolare processo di reinvenzione: egli non solo ricorda, ma reinventa continuamente il suo passato, dando alla luce un film, che lo consegnerà ad un successo che non avrà eguali. La pellicola ha una forma circolare: da una primavera all’altra, si alternano eventi grotteschi, episodi malinconici e momenti festanti. Fellini, seguendo l’andamento tipico della vita, basato sulla continua oscillazione tra felicità e dolore, dà alla luce una sorta di poetica della provincia romagnola: il fascismo è alle porte, gli ardori della gioventù riscaldano gli animi degli adolescenti e tutto concorre a ricostruire il mondo dell’infanzia felliniana a cui egli guarda con ironia e nostalgia, senza mai scadere nel sentimentalismo. Tra i tanti personaggi emerge la figura del giovane Titta (Bruno Zanin), il quale non è il doppio del regista, bensì l’evocazione di un suo vecchio compagno di classe, Luigi Benzi. Figlio di un padre dagli ideali anarchici che i fascisti torturano con l’olio di ricino e di una madre piuttosto possessiva. Ha un nonno che palpeggia il fondoschiena della domestica, uno zio fascista e un altro malato di mente che si rifugia su un albero urlando “voglio una donna!”. Titta e i suoi amici ciondolano per le vie del paese, prede dei bollori adolescenziali accesi da una prosperosa tabaccaia e dalla bella Gradisca (Magali Noel), una superba donna in rosso che suscita l’ammirazione di chiunque la guardi. La Gradisca (detta così per la sua disponibilità nei confronti di un Principe di passaggio), incarna il prototipo della donna sensuale, che i giovani tentano disperatamente di conquistare, mentre la tabaccaia procace, incarna l’esuberanza del desiderio adolescenziale. Tutti i personaggi di Amarcord sono definiti da pochi tratti ben marcati: vere e proprie caricature, che sembrano uscite da un fumetto. Per lo più non si tratta di attori professionisti… Fellini era letteralmente attratto dai clochard: andava in giro per Roma reclutando “le facce” più congeniali ai suoi bozzetti e alle sue caricature.. così il set Felliniano pullula di personaggi che si potrebbero rincontrare solo in un manicomio o in un incubo (si pensi al suonatore di fisarmonica cieco che appare qua e là nel film). L’iperbole del grottesco non colpisce solo i personaggi, ma anche le situazioni rievocate dal vissuto del regista: basta pensare ai ricordi scolastici, alle cerimonie fasciste o alla sovrabbondante nevicata, che crea un vero e proprio labirinto ghiacciato, entro cui vediamo il giovane Titta cercare la bella Gredisca, senza successo. Altra figura tipica del cinema felliniano è l’esibizione della finzione, evidente in tutta la messa in scena: a partire dalla Rimini interamente ricostruita negli studi di Cinecittà, al mare di plastica solcato dalla sagoma di cartone del Rex. La pellicola, complessa, ammaliante, profonda e al contempo ilare, nata dalla mano di un ormai leggendario cineasta, si aggiudica l’Oscar come miglior film straniero del 1974, consacrandosi come un grande capolavoro… Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI. (Articolo a cura di Flavia Salerni)

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