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Beau ha paura Recensione Poster

un’opera che non tutti apprezzeranno e qualcuno forse sarà tentato di lasciare la sala dopo la prima mezzora di proiezione. Si inizia con la descrizione di un parto, visto però dalla prospettiva del bambino che nasce. Un tunnel completamente buio, rumori, qualche lampo di luce, poi la voce stentorea, autoritaria, un po’ isterica di una donna che inveisce contro i medici che l’aiutano a partorire, una sculacciata, il primo vagito.  Così è venuto al mondo Beau Wassermann (Joaquin Phoenix) la cui madre Mona (Patti LuPone) oltre a partorirlo, saprà adoperarsi al meglio per aiutarlo a non crescere. Ecco infatti che subito le immagini ci mostrano un Beau ormai quarantenne nello studio del suo terapista al quale ovviamente parla del suo rapporto con la madre e del viaggio che deve affrontare per andare a trovarla. È un viaggio obbligato, da troppo tempo non vede la genitrice, e ora ha pronto l biglietto aereo e ha superato la paura di incontrarla. Ma succede che mentre sta per uscire di casa qualcuno gli ruba il bagaglio con annesso biglietto aereo e le chiavi dell’appartamento. Da questo momento il viaggio di Beau diventa un incubo, e per raggiungere la madre che nel frattempo è morta, uccisa da un lampadario, dovrà affrontare un mondo fatto di pazzi che accoltellano per strada senza ragione, cadaveri abbandonati nelle vie, una coppia che dopo averlo mezzo ammazzato lo adotta e poi lo fa inseguire da un veterano di guerra molto disturbato quando lo riterrà responsabile della morte della loro figliuola. E poi una compagnia teatrale incontrata in un bosco dove Beau si è rifugiato,  l’ncontro con una sua vecchia conoscenza con cui farà l’amore per la prima volta superando la paura che sua madre gli aveva inculcato, che se avesse raggiunto l’orgasmo sessuale sarebbe morto, com’era capitato a suo padre. E infine un processo kafkiano all’interno di una specie di stadio, su una barca  in un lago. Ari Aster non rinuncia all’autobiografia e ripropone sempre in chiave horror il tema del rapporto edipico con la madre, già presente nei suoi precedenti due film (Hereditary, presentato al Sundance nel 2018 e Midsommar, inserito fra i 10migliori film indipendenti del 2019), ma questa volta lo affronta in modo più diretto, adottando uno stile di racconto  che ha sicuramente un suo fascino ma è anche troppo carico di tutto, più rococò che barocco. Il regista statunitense si conferma come una interessante promessa del cinema (non solo del filone horror ci auguriamo),  ma questa sua ultima fatica è nel complesso un’opera riuscita solo a metà dove risalta la prova d’attore di un Joaquin Phoenix in gran forma. (La recensione del film “Beau ha paura” è di Claudio Montatori)