“La coscienza sta nella nostalgia/Chi non si è perso non ne possiede”. Parte così, con questo citazione pasoliniana, l’ennesimo inno d’amore a Napoli da parte di Mario Martone. Sulla Croisette è stato presentato “Nostalgia”, film in concorso per l’Italia al Festival di Cannes, tratto dal romanzo omonimo di
Ermanno Rea e interpretato da Pierfrancesco Favino. La pellicola ha raccolto successo al termine della premiére al Grand Theatre Lumiere: nove minuti di applausi e grande emozione per tutto il cast presente.
Il protagonista Felice Lasco (Favino), torna a Napoli dopo 40 anni per rivedere l’anziana madre che aveva lasciato all’improvviso quando era ancora un ragazzo. Nel rione in cui è nato, la Sanità, vaga, si perde, quasi non capisce la lingua ma c’è qualcosa che lo attira, i ricordi di una vita lontana con Oreste (Tommaso Ragno), il migliore amico d’infanzia, diventano un motivo spontaneo e irrefrenabile per rimettere radici nonostante al Cairo lo aspetti la sua vita da ricco imprenditore con una moglie amata. Il quartiere è cambiato, ma in peggio, con un sacerdote (Francesco Di Leva) a provare a tenere lontani i ragazzi dalla leva della camorra. Tra quei vicoli una forza invincibile quasi gli impone di restare, è la “nostalgia”.
“Ognuno di noi dentro di sé ha un sud di un mondo, come un magnete interno, un luogo che forse rappresenta il suo se più intimo forse quello dei suoi avi. La Sanità in questo senso rappresenta qualsiasi luogo del mondo, Napoli come Il Cairo, come l’altrove e il fatto che nell’altrove ritrovi se stesso è incredibile. Ritornare: quel gesto lì diventa più importante dell’approdo”, ha raccontato Favino.
L’estrazione letteraria di “Nostalgia” è stata una molla per Martone. “Per la prima volta pur domandandomi il senso di questa vicenda non ho trovato risposte, mi sono affidato a Ermanno Rea e al suo labirinto. Mi sono perso, volutamente”. E’ stato anche, per il regista napoletano, un ritornare. “Luoghi del cinema, luoghi dell’anima”, dice. “Mi affascinavano tante cose del romanzo di Rea certamente la possibilità di fare un film tutto in un quartiere, una enclave come la Sanità che gli stessi napoletani conoscono poco e che è stata una terra di nessuno, un far west della camorra. L’ho immaginato come un labirinto, una scacchiera, forme borgesiane in cui si immagina che dei personaggi facciano un percorso nel passato e nel presente. C’era in tutto questo una forma cinematografica che mi tentava, l’idea di fare un film non con una messa in scena tradizionale ma come cinema del reale buttandomi in strada come nel neorealismo italiano e incontrare le persone vere”. (dal tgcom)
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