Il teatro che affascina, che ti cambia la vita per sempre e il mestiere dell’attore “che può essere molto doloroso, destabilizzante se non riesci a restare equilibrato”. Al Festival di Cannes, Valeria Bruni Tedeschi alla sua quarta regia resta per una volta dietro la telecamera per raccontare i suoi anni di formazione, alla
scuola di teatro di quel mito che è stato Patrice Chereau negli anni 80, un modo per “restare giovani per sempre”, dice raccontando “Les Amandiers”, in gara per la Palma d’oro.
La regista torinese era accompagnata da tutto il suo cast, da Louis Garrel alla protagonista Nadia Tereszkiewicz: c’era molta attesa per il film che batte bandiera francese, produttivamente realizzato in Francia con partecipazione minoritaria italiana, un film drammatico che racconta ispirato alla sua stessa biografia, gli anni formativi nella scuola di teatro di Patrice Chereau, un imprinting di vita e di professione mai dimenticato. Nel 1980 la Bruni Tedeschi ha frequentato il laboratorio di Chereau insieme a un gruppo di coetanei condividendo speranze e amori ma anche dolori per la droga e l’Aids che cominciava a fare vittime.
“Lui ti trasmetteva la febbre, per questo lavoro, per la vita, per le passioni, per l’amore, una febbre che tutti vorremmo avere”, ha detto Louis Garrel che lo interpreta e che lo ha conosciuto ed è stato un suo attore. Aver fatto la scuola di Chereau è stata una specie di leva militare, totalizzante: “c’era una grandissima vitalità, una giovinezza che esplodeva, una energia incredibile e anche – ha spiegato Bruni Tedeschi – una violenza nel senso che lui era fortemente esigente nei confronti degli attori, poteva essere brusco, duro”.
Il titolo internazionale è “Forever young”, per sempre giovane, proprio per sottolineare come uno scatto fotografico la vita di quel momento, un’idea di giovinezza. “Il tempo che passa è un qualcosa che mi angoscia da sempre, non è tanto invecchiare ma proprio vedere sfuggire il tempo. Da ragazzina a fine estate continuavo a mettere il costume anche in città per prolungare la stagione”, aggiunge Bruni Tedeschi.
L’altro film del concorso era “Holy spider” del regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi (già autore dell’ottimo “Border – Crature di confine”). E’ la storia di Saeed (Mehdi Bajestani) che decide di ripulire la città santa di Mashhad dalle prostitute di strada immorali e corrotte. Diventa così un serial killer. Basato su una storia vera, ci introduce in un mondo in cui il confine tra diritto e religione non è affatto chiaro. (dal tgcom)
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