L’immensità “è una storia che mi riguarda molto da vicino, è la mia storia in chiave poetica, sarebbe riduttivo definirlo il mio ‘coming out’, il pubblico penserebbe ad un film sulla transizione ma non è affatto così”, dice all’ANSA Emanuele Crialese, in concorso alla mostra di Venezia con il nuovo, atteso film,
prodotto da Wildside, gruppo Fremantle, in sala con Warner Bros dal 15 settembre.
L’IMMENSITÀ con Penelope Cruz, Vincenzo Amato, ambientato in una Roma “metafisica” degli anni ’70 tra palazzi in costruzione in periferia, racconta la storia di una famiglia in cui l’amore è finito e nell’infelicità la madre cresce tre figli, la maggiore delle quali, l’adolescente xx, rifiuta il suo nome e la sua identità sensuale. “I tempi sono cambiati, ai giovani di oggi le classificazioni di genere non interessano più, in questo sono maestri, portatori di una nuova sensibilità, maschio, femmina, sono quel che sono, prima di tutto esseri umani”. Crialese, che si commuove ricordando la mamma e il sostegno che gli ha sempre dato nel suo percorso, dice: “Sono figlio del mio tempo, ma i tempi oggi sono cambiati”, sottolinea il regista di Respiro e Terraferma all’ANSA. “Le famiglie vanno sostenute quando ci sono da fare certi percorsi, mia madre era da sola, non sapeva dove sbattere la testa. Ho cambiato la ‘a’ con la ‘e’ e ho dovuto lasciare un pezzo del mio corpo, ma io sono uomo e no, donna e no e voglio rimanere così e spero di non minacciare nessuno per questo”.
Nell’Immensità al centro, oltre alla ragazzina ‘gender fluid’, c’è la madre, il grande archetipo interpretato dalla Cruz. “I personaggi femminili sono quelli che mi interessano e per cui faccio il cinema, i maschili sono una noia”. (ANSA).
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