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Hope Recensione Locandina

regista teatrale di successo, Thomas, il denso e profondo Stellan Skarsgard, suo compagno un produttore di gran successo. Hanno tre figli e vivono, come famiglia allargata con gli altri tre figli di Thomas avuti dal precedente matrimonio. Una casa comoda, grande, di lusso, accoglie l’intera famiglia e amici. Siamo prossimi alle festività natalizie quando Anjia viene chiamata dall’ospedale per consultare l’esito della sua tac alla testa. Dopo i polmoni, il tumore sembra essersi dipanato verso il cervello. Non c’è nessuna speranza?
Maria Sødahl scrive e dirige con cura meticolosa una narrazione lineare che occupa tutti i giorni festivi di uno dei periodi più lieti dell’anno: dalla vigilia di Natale a Capodanno. E, nonostante, la tragicità della scoperta del male, incurabile, Maria Sødah ha la capacità di far vivere allo spettatore l’armonia dei sentimenti, a volte contradditori, che muovono i protagonisti.
Primo fra tutti è l’amore maturato e maturo di Thomas verso Anjia alla quale chiede di sposarlo. La malattia non passa mai in secondo piano. Gli amici più cari si prodigano per i preparativi, così i figli, che dal più giovane al più grande dichiarano, ognuno a suo modo, l’affetto per la madre e la paura per quelle che sembrano le imminenti conseguenze. Con Anjia invece, scorriamo la sua intera vita emotiva: la rabbia provata in passato verso Thomas per non averla sposata quando lei lo chiedeva; la gelosia provata per lui, avendo intuito il suo tradimento; la preferenza per i figli nati dalla loro unione piuttosto che gli altri. Sensi di colpa, frustrazione si alternano in Anjia e contrastano la calma, la pazienza e la solidarietà di Thomas che rimane fedele al suo sguardo d’amore per lei. La malattia non è mai stata semplice da raccontare sul grande schermo. La nota di merito da attribuire a Maria Sødah è quella di aver scritto e diretto i moti interiori di una donna il cui cancro al cervello le sta rubando la speranza del futuro. La macchina da presa è come autorizzata ad entrare in punti di piedi nei luoghi privati di Anjia: la cucina, mentre prende le sue pastiglie; la camera da letto, mentre tenta un amplesso con Thomas e lo interrompe nel pianto angosciato; sul divano con i figli mentre li accarezza; in macchina mentre attende la risposta del primario che tenterà di operarla. Non ultimo, il luogo del cuore dove esprime con un sorriso autentico e gioioso il suo ‘si’ all’altare. Lo spettatore è chiamato al silenzio, quello vero perché di fronte al destino di una persona si esprimere compassione, cioè vivere con lei, accanto a lei, lo stesso pathos. Ecco perché è straordinario il finale, da scoprire. Hope è una bellissima storia d’amore percorsa dalla traccia di un male che toglie la luce ma non la speranza della sua verità. (La recensione del film “Hope” è di Rita Ricucci)