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Il Capofamiglia Recensione Poster

 al Calgary International Film Festival in Canada, è ora sugli schermi italiani il film d’esordio del regista egiziano Omar El Zohairy, che ha per titolo “Il Capofamiglia”. C’è un suicidio all’inizio del film che sembra non avere un nesso con tutto il resto della storia, ma che dice molto sul mondo in cui questa si svolge, una periferia di una città sconosciuta, di un paese sconosciuto, una società patriarcale dove una fabbrica non meglio identificata sputa i suoi fumi venefici all’interno dell’appartamento dove vivono i protagonisti in condizioni che si fatica a credere. “Il Capofamiglia”è il titolo italiano del film, mentre quello internazionale è “Feathers”, “Piume”, e le piume sono quelle di un pollo, ma non un pollastro qualunque, prima quel pennuto era un uomo, o almeno ne aveva le sembianze. Era lui il capo, un operaio che in casa esercitava il suo potere su di una moglie che dire sottomessa non rende l’idea. Lei risponde sempre sì, si occupa dei suoi tre figli, due in età preadolescenziale e un terzo ancora in fasce che lei tiene sempre in braccio, un fagottino triste come i suoi occhi. Apparentemente non ha emozioni, ha sempre la stessa espressione, anche quando per festeggiare il compleanno del figlio maggiore il marito organizza una festa con tanto di invitati e un’ attrazione rappresentata da un mago ciarlatano che chiude il capofamiglia in una cassa da cui estrarrà un pollo. Grande meraviglia, applausi e divertimento da parte degli astanti, ma quando il ciarlatano tenta di far riapparire l’uomo, la cosa non riesce, l’uomo non si trova, forse è scappato o forse è davvero un esorcismo andato a male, fatto sta che da questo momento in poi la madre si ritroverà ad accudire un marito-pollo e trovare il modo di dar da mangiare ai propri figli, in un contesto sociale assai difficile per le donne. Ci sarà chi l’aiuta, ma avrà pretese. Quella che sembra una tragedia improvvisa e senza vie d’uscita sarà invece l’inizio della sua emancipazione. Non ci sono nomi che identifichino i personaggi, né di città, paesi o strade, tutto si svolge in un luogo indefinito, dove maschilismo atavico, burocrazia soffocante e sfruttamento becero che vede di malocchio il lavoro delle donne ma non quello dei minori, caratterizzano i rapporti sociali. Non lo dichiara il regista, ma tutto porta a identificare in quel mondo una parte almeno della società egiziana, quella più retrograda. Di certo il suo film così pieno di umor nero gli ha procurato parecchie critiche negative in patria e ha svelato il suo talento all’estero. Così come ha svelato l’esordiente attrice Demyana Nassar che veste i panni della protagonista. Un film che si guarda con fatica ma che non si può fare a meno di guardare, a cui avrebbe giovato un pizzico in più di umorismo. Un film comunque da vedere, rigorosamente al cinema. (La recensione del film “Il Capofamiglia” è di Claudio Montatori)