Il film di Luchino Visconti, vincitore della Palma d’Oro al 16° Festival di Cannes, è tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la figura del protagonista del film, il Gattopardo, si ispira a quella del bisnonno dell’autore del libro, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di
Lampedusa. Sia il libro che il film sono entrati nell’immaginario collettivo italiano ed europeo, mettendo in scena uno dei periodi più affascinanti e travagliati della storia della Sicilia, ovvero il Risorgimento, che l’autore descrive come una stagione piena di paradossi e di tragici stravolgimenti economici, politici e sociali. La storia è ambientata nel maggio 1860, dopo lo sbarco a Marsala di Garibaldi in Sicilia. Don Fabrizio assiste con distacco e con malinconia alla fine dell’aristocrazia. Egli, simbolo dell’intera classe politica dell’epoca, è interpretato da Burt Lancaster. Don Fabrizio, appartenente a una famiglia di antica nobiltà, viene rassicurato dal nipote prediletto Tancredi. Come tutti gli anni, il principe con tutta la famiglia si reca nella residenza estiva di Donnafugata e trova come nuovo sindaco del paese Calogero Sedara, un borghese di umili origini, poco istruito, che si è arricchito e ha fatto carriera in campo politico. Tancredi, che aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la figlia maggiore di Don Fabrizio, s’innamora di Angelica, figlia di don Calogero, che decide di sposare, anche perché attratto dal suo notevole patrimonio. Un episodio significativo è indubbiamente l’arrivo a Donnafugata del funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a senatore del nuovo Regno d’Italia. Una nomina che il principe rifiuta in quanto legato al vecchio mondo siciliano. Insomma un romanzo prima e un film poi che sono emblematici di un determinato periodo storico che cercano di mostrare e raccontare attraverso alcuni personaggi “evocativi”. Uno su tutti Don Fabrizio Corbera, simbolo, come detto, dell’intera classe politica dell’epoca. Soprannominato il Gattopardo, come la lonza della Divina Commedia, anche questo animale risulta essere più un simbolo, una metafora, derivante dall’antica araldica rinascimentale, piuttosto che un animale concreto. Nell’accezione del romanzo (e del film) l’animale, che fa parte dello stemma della famiglia Corbera, rappresenta la condizione psicofisica di una nobiltà al tramonto, incapace di resistere al cambiamento, se non abbandonandosi alla nostalgia. Non bisogna, però, commettere l’errore di fare riferimento solo ed esclusivamente al Gattopardo. Si tratta, infatti, della “fusione” di più animali tra loro che, insieme, danno origine alla figura di questo animale, a tratti mitologico se lo si considera dal punto di vista metaforico. Ogni caratteristica degli animali che hanno poi dato vita alla figura del Gattopardo, ha contribuito a racchiudere tutto quello a cui aspiravano i nobili di un tempo per arrivare alla figura “finale” di Don Fabrizio che, nonostante sia il protagonista, non è né il classico eroe buono né l’antieroe moderno. Nel corso dell’opera risulta piuttosto un osservatore capace di influenzare la storia, ma da dietro le quinte. Come detto, il film è stato premiato, sia in Italia con il David di Donatello, sia all’estero al Festival di Cannes, nonostante aspre critiche dal mondo aristocratico dell’epoca. La cosa certa è che “Il Gattopardo” ha indubbiamente segnato una svolta profonda nel cinema di Luchino Visconti che ha avuto modo di confrontarsi con un romanzo di cui conosceva ogni singolo aspetto, anche quelli più velati e nascosti. E, grazie a questo legame con l’opera di Tomasi di Lampedusa, Visconti può giocare come meglio crede e plasmare ciò che ha di fronte. Infatti, invece di seguire la struttura degli avvenimenti così come descritti dall’autore, Visconti li articola in funzione di una specifica scena: quella del celebre ballo.
In questo (e non solo) Visconti è aiutato in gran parte da un cast che lo sostiene e che si mimetizza con il resto della storia. Dalle ambientazioni alle musiche, tutto sembra andare in una precisa direzione e, complice la regia di un incredibile maestro, il risultato finale de “Il Gattopardo” non può che essere più che riuscito. A proposito degli interpreti non si può non fare riferimento alla presenza di un melodramma intenso che solo la bellezza di due attori come Alain Delon e Claudia Cardinale possono avere e restituire al pubblico, incantato davanti alla storia d’amore tra i due personaggi che rappresentano una fetta di trama sensibile e onnipresente. Dal modo in cui è diretto il film ben si comprende la fascinazione di Visconti per il romanzo di Tomasi di Lampedusa e di tutta quella letteratura in grado di interpretare e trasportare su carta i sentimenti, quasi in via d’estinzione. A fare da cornice, poi, alcuni elementi caratteristici, in qualche modo, del regista. In primis la Sicilia, terra da sempre amata, nella quale si trova perfettamente a proprio agio, nonostante non sia la sua terra natia e, forse proprio per questo, un luogo in cui riesce a esprimersi al meglio, anche perché l’isola è in grado di far emergere quelle contraddizioni sulle quali il cinema di Visconti si è fondato. La continua contrapposizione (e, allo stesso tempo, compenetrazione) di due classi sociali diverse, lontane è il perno attorno al quale ruota l’intera narrazione e l’aspetto sul quale fa leva Visconti che, fin dall’inizio, cerca di mostrare attraverso i suoi personaggi e la sua messinscena. Oltre a questo binomio, sono anche tanti altri i temi affrontati dal film (e dal romanzo ancora prima), dall’importanza dei sentimenti al contrasto tra gioventù e vecchiaia, solo per citarne alcuni. Ma tutti passano in secondo piano nel momento in cui lo stesso Visconti decide di virare in una specifica direzione che fa concentrare lo spettatore solo sugli aspetti che lui vuole porre al centro. Dalla carta allo schermo, la grande storia raccontata da due maestri quali Tomasi di Lampedusa e Luchino Visconti è, senza dubbio, uno di quei titoli che non possono mancare nel bagaglio culturale di ognuno di noi. E il fatto che, ancora oggi, sia, per certi aspetti, vicino a noi e a ciò che ci circonda è sintomatico proprio di questo. Un titolo da non perdere. Un caposaldo della narrazione. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.
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