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Il libro delle soluzioni Recensione Poster

Compassato, flemmatico, ironico, un uomo su cui la malattia, che egli stesso racconta in questo The book of solutions, sembra aver lasciato più di uno strascico. Film dichiaratamente autobiografico, Gondry vi affronta il periodo nero in cui ha sofferto di depressione, malattia subdola da cui, come si evince anche dal finale del film, non si guarisce mai fino in fondo. Lo fa nel modo che gli è proprio ovvero in maniera scanzonata, poetica, lieve. Ebbene sì, a dispetto della gravità del tema The book of solutions è un film estremamente comico, il più comico dei film del regista francese, che mette in fila una serie di battute e situazioni genuinamente spassose senza essere irriverenti, dissacratorie o senza ricorrere a quello humor nero per cui si ride a denti stretti. No, in The book of solutions si ride e si ride di gusto. Film autobiografico si è detto. Il protagonista, infatti, interpretato da Pierre Niney, è un regista alle prese con il suo ultimo film che non riesce a terminare. The book of solutions si apre proprio con i produttori che dopo aver visto il film, non avendoci capito niente, decidono di bloccarne le riprese e con il regista che, insieme al suo staff, ruba il girato e le apparecchiature per fuggire in campagna dalla zia e cercare di terminarlo. Da questo punto di vista The book of solutions è l’8 ½ di Gondry, assecondando anche lui una tendenza che, da Spielberg a Inarritu, da Moretti a Salvatores, pare di gran moda in questi ultimi tempi, quella del film del film, del regista che mette in scena se stesso nel mezzo del processo creativo, dell’artista che si interroga e si arrovella sul suo stesso mestiere, tra dubbi, ripensamenti, egocentrismi, vanità. Seghe mentali penserà qualcuno. E invece no, se nei dubbi dell’artista si possono specchiare i dubbi di ciascuno di noi, se il timore di fallire è lo stesso che è di tutti, così come è di tutti la pressione data dalle aspettative, il peso delle ambizioni, l’ansia nella realizzazione, umana e professionale, di sé. Gondry, di certo, non insegue le mode, anzi, rispetto ai suoi illustri colleghi egli nega ogni accenno di prosopopea, ogni narcisismo, ogni intellettualismo estetizzante, nessun bianco e nero, nessun arzigogolato movimento di macchina, nessuna epica del passato né del futuro, prediligendo una narrazione realistica, intimista, stilisticamente sottotono che, a otto anni dal suo ultimo lavoro, denuncia non di meno un disagio fattivo nel trovare un suo spazio nel sistema produttivo del cinema contemporaneo nonché la sostanziale incapacità del cinema (e dell’arte in genere) di risolvere i veri problemi della vita, sia personali che collettivi (da qui l’amara ironia del titolo). Non mancano le parentesi oniriche, le invenzioni visive realizzate ricorrendo a quell’artigianalità manuale che ha fatto la fortuna di Gondry, le trovate geniali, la creatività vulcanica che nel momento in cui il protagonista smette di assumere gli psicofarmaci, esplode definitivamente, il che è cosa positiva ma anche negativa se poi tutta questa energia non riesce ad essere incanalata in un unico progetto bensì si disperde in infiniti rivoli continuamente imboccati e abbandonati. Presentato al Festival di Cannes e in anteprima nazionale come evento speciale all’ultimo Biografilm Festival di Bologna alla presenza dello stesso Gondry. (La recensione del film “Il libro delle soluzioni” è a cura di Mirko Nottoli)