La recensione del film “Il Monaco che vinse l’apocalisse” a cura di Rita Ricucci. Il monaco che vinse l’Apocalisse è il nuovo film di Jordan River, dal 5 dicembre al cinema. Dopo i docufilm sugli artisti più controversi della storia, da Caravaggio, la potenza della luce, 2018, a Artemisia Gentileschi-pittrice guerriera, 2020, dove evidenzia le maggiori peculiarità della grandezza di questi artisti, Jordan River, regista italiano, approda sul grande schermo con il tentativo di restituire il pensiero teologico-metafisico di Gioacchino da Fiore, monaco teologo vissuto nel XII secolo.
Personaggio di indubbio interesse in tutti i tempi, dal sollecitare la penna del ‘Sommo poeta’ che lo inserisce nella cantica del Paradiso come “il calavrese abate di spirito profetico dotato”, ad oggi, citato da Papa Francesco come colui che “seppe indicare l’ideale di nuovo spirito”, Gioacchino da Fiore è sempre alla ribalta del palcoscenico della curiosità teologica-esegetica (non ultimo, il convegno di settembre di questo anno, poco meno di due mesi prima dall’uscita del film, proprio nella chiesa abbaziale florense di San Giovanni in Fiore a Cosenza).
Tuttavia, Il monaco che vinse l’apocalisse, nonostante le capacità di Jordan River che fa dell’uso tridimensionale la sua particolarità registica, non conquista la curiosità del pubblico che non individua nel protagonista quell’umanità che è propria del Beato Gioacchino, Joachim, nome latino, usato nel film, non riuscendo a tradurre visivamente la complessa novità del suo pensiero teologico.
“Expositio in Apocalypsum” e “De Gloria Paradisi” sono i testi ai quali Jordan River si ispira per stendere la sceneggiatura insieme a M. Albanese, V. De Fraja e A. Tagliapietra. Altresì, questi sono soprattutto tra i grandi studi e componimenti di Gioacchino da Fiore nei quali, in una epoca di assoluto disordine sociale ed ecclesiologico, trovava le parole e le immagini per restituire alla scienza del tempo, l’attendibilità e la verità delle Scritture: il Mistero della Trinità diventano tre cerchi, il verde, l’azzurro e il rosso, che si compenetrano uno all’altro, dove ognuno entra nell’altro pur restando una circonferenza a sé stante indicando i tre stati dell’unica Sostanza in tre Persone; la continuità delle Scritture dall’Antico Testamento al Nuovo; l’Apocalisse come unica profezia della storia della salvezza .
L’Apocalisse infatti, nell’ambito proprio della Scrittura è uno degli scritti più difficili da penetrare perché attingendo al repertorio biblico, adotta una simbologia la cui decifrazione ha tormentato l’animo della Chiesa.
Se anche già anticipata nel verbo del titolo, vinse, il film di River stenta a mostrare il percorso intimo e spirituale del monaco che intuisce la vittoria intesa come l’esperienza personale della presenza di Dio nella vita di tutti i tempi. Per questo, infatti, il cammino che Gioacchino da Fiore ha compiuto, e che ancora oggi è possibile leggere come verosimile, è quello di leggere l’Apocalisse come ultima fonte profetica attendibile, in un tempo, prima il suo, il medioevo, in preda alle pulsioni divoratrici delle Crociate, della corruzione della Chiesa e di una fede in Dio analfabeta e puerile, e poi il tempo odierno, ancora in preda alle guerre e a una fedeltà alla Chiesa di Cristo, poco istruita e ancora troppo ambiziosa.
La restituzione di River, purtroppo, rischia di essere un pot-pourri di immagini incandescenti e infiammate degli Inferi, così come nell’immaginario collettivo, oppure illuminate e sgargianti per mostrare il Divino, come troppo spesso rappresentato e parole, quelle predicate dal monaco Gioacchino, che restano astratte, indubbie, aleatorie perché pronunciate nella solitudine, nell’assenza di relazioni.
Certi della complessità dell’operazione azzardata da Jordan River, Il monaco che vinse l’Apocalisse non riesce ad imprimere uno sguardo convincente perché, a differenza dei docufilm sull’arte visiva, dove è possibile appoggiarsi alle opere degli artisti stessi, conosciute, apprezzate e amate, per un personaggio storico come Gioacchino da Fiore non bastano flashback onirici o effetti speciali di flash-forward inattendibili, piuttosto dell’umanità della persona che, nella sua ricerca di Dio, vede e spera una visione reale della sua presenza. (La recensione del film “Il Monaco che vinse l’apocalisse” è a cura di Rita Ricucci)
LA SCHEDA DEL FILM “IL MONACO CHE VINSE L’APOCALISSE” (Joachim and the Apocalypse)
Regista: Jordan River – Cast: Nikolay Moss, Bill Hutchens, Francesco Turbanti, Elisabetta Pellini, G-Max, Giancarlo Martini, Yoon C. Joyce – Genere: Azione, Avventura, Biografico – Anno: 2024 – Paese: Italia, USA – Scenaggiatura: Michaela Albanese, Valeria De Fraja, Jordan River, Andrea Tagliapietra – Fotografia: Giovanni Mammolotti – Durata: 1 h 30 min – Distribuzione: Delta Star Pictures – Data di uscita: 5 Dicembre 2024 – Il sito ufficiale del film “Il monaco che vinse l’apocalisse” di Jordan River
Trama: Il Monaco che vinse l’Apocalisse, film diretto da Jordan River, è ambientato nel periodo delle Crociate e vede protagonista Joachim, monaco il cui saio è divenuto ormai come una seconda pelle. Circondato dall’oscurità in cui riversa il mondo, il chierico inizia a sperimentare esperienze oniriche e ad avere visioni mistiche. L’asceta giunge alla rivelazione divina, mentre il suo è indaffarato con la rivelazione e l’interpretazione delle profezie e delle visioni che Joachim ha. L’ultima impresa che il monaco deve affrontare è la più ardua: vincere l’Apocalisse. Quello di Joachim diventa un viaggio della speranza che va oltre la vita, ma incentrato sull’esistenza stessa dell’uomo, sulla forza dell’amore e sulla ricerca del divino in ogni essere vivente…
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