Uno degli ultimi film muti prodotti dalla Metro-Goldwyn-Mayer è “Il vento” risalente al 1928 e diretto da Victor Sjöström. Il film, adattamento a opera di Frances Marion, dall’omonimo romanzo di Dorothy Scarborough, è diretto dal regista svedese che sarà poi l’interprete di uno dei celebri film di Ingmar Bergman, “Il posto delle fragole”.
La protagonista della vicenda è Letty (Lillian Gish), una giovane ragazza della Virginia che va ad abitare dal cugino Beverly (Edward Earle) in un deserto negli USA dove il vento soffia senza tregua. Qui, però, la giovane avrà a che fare con Cora, la moglie del cugino, alla quale presta il volto Dorothy Cumming, e il rapporto tra le due sarà tutt’altro che semplice, tanto da costringere l’ospite ad andarsene. L’unico obbligo al quale deve sottostare per poter uscire da quella “prigione” è, però, sposarsi. Non solo, quindi, l’essere costretta a legarsi, solo per necessità, a Lige (Lars Hanson), uomo che non ama, ma anche il dover contrastare un vento terribile non aiuta la vita della povera Letty.
“Il vento” è quello che si può definire il miglior film del regista svedese in terra statunitense. Nonostante il finale (volutamente non rivelato) voluto e imposto dalla produzione, resta indubbio il fatto che questo film, uno degli ultimi film muti, sia un vero e proprio capolavoro nel suo genere con non solo una grande fotografia, dettata anche dai paesaggi a disposizione, ma anche una perfetta interpretazione di Lillian Gish. Lillian Gish che è stata colei che è riuscita a imporsi per trasformare quello che all’epoca era un romanzo in questo capolavoro cinematografico. Colpita dal romanzo chiese immediatamente al capo della MGM di poter realizzare un adattamento cinematografico per il quale impose le proprie scelte. È stata, infatti, l’attrice a volere al suo fianco Lars Hanson e scegliere Sjöström come regista.
Se “Il vento” inizialmente può richiamare l’intento di giocare sull’estraneità e il disagio di quella che è a tutti gli effetti un’eroina tragica che si trova catapultata in un mondo altrettanto tragico, se non di più, con il progredire della storia ci si rende conto che si progredisce addirittura verso il fantastico e il lirismo esasperato. Un film, e soprattutto un finale, non convenzionale che elegge Sjöström alla qualifica di regista visionario, che già all’epoca aveva idee anticonformiste o comunque fuori dall’ordinario. Nonostante i quasi 100 anni d’età, “Il vento” sembra non essere invecchiato, sembra non aver perso quella freschezza che lo aveva caratterizzato fin dalla sua uscita. Basti pensare alle sequenze di Letty sola nella capanna “colpita” dalla tempesta: è un modo, per l’epoca (ma non solo), del tutto nuovo per mostrare minaccia e paura.
Sicuramente l’elemento centrale che ha reso il film di Sjöström un capolavoro fin da subito è la resa del vento. Il regista svedese riesce, attraverso vari escamotage, a trasmettere la sensazione e la suggestione sonora del vento che batte sulle persiane e che si insinua all’interno della capanna minacciando, come una sorta di criminale, la giovane protagonista. Pur trattandosi di un film muto osservando le persiane che sbattono e la sabbia che fa mulinelli si percepisce e quasi sembra di sentire il vento che imperversa. Prima di allora nessuno era riuscito a rendere una tale suggestione allo stesso modo.
E pensare che inizialmente era stata prevista una versione che includeva un sistema di dischi che riproducevano i suoni naturali, ma con scarsi risultati.
E poi è impossibile non citare il profondo lavoro fatto da Lillian Gish per la sua Letty. Interpretazione talmente riuscita da far quasi apparire come ridondanti, ripetitive e, a tratti, inutili, le didascalie. Il suo approccio a Letty e la sua trasformazione sullo schermo risultano convincenti e molto più esplicative delle poche righe che la precedono e seguono. Anche se forse definirla protagonista assoluta è un errore, dal momento che, come annunciato dal titolo, il protagonista è
indubbiamente il vento che, imperversando sulla scena e sui personaggi, diventa fulcro centrale della storia e onnipresente.
La suggestione portata sullo schermo da Sjöström per “mostrare” il vento è tale che lo spettatore crede continuamente di sentire il sibilo del vento che scuote la casa e ne fa vibrare le finestre. Una suggestione tale che sembra davvero di sentire sulla pelle il contatto della sabbia sospesa ovunque nell’aria.
Se fin dai precedente lavori di Sjöström si era potuta notare questa predisposizione a porre l’ambiente al centro (già nei precedenti Ingeborg Holm, del 1913, Il carretto fantasma, del 1921), con “Il vento” esso non è solo centrale, ma diventa parte integrante della narrazione e dello sviluppo drammaturgico della storia.
Anche perché i luoghi sono spesso aperti e la presenza del vento si fa costante e incessante. Vento che, oltre a essere elemento atmosferico, diventa anche metafora che mette in luce la vita della protagonista stessa. Letty comincia ad accettare di essere veramente Letty nel momento in cui comprende il vento e accetta di coesistere insieme a lui. Accettandolo, in qualche modo, e facendolo diventare parte di sé, tutto quello che la circonda assume un altro aspetto.
Quasi centenario, de “Il vento” colpisce la disarmante abilità di rendere visivamente e non solo l’imperversare continuo e costante dell’agente atmosferico. Un film ancora oggi all’avanguardia che non ha perso smalto né interesse. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI. (Analisi critica del film “Il Vento” di Victor Sjostrom a cura di Veronica Ranocchi)
Lascia un Commento