(ANSA) – Con Palazzina Laf, di e con Michele Riondino, si ride e si piange. Si ride perché quello che accade in questo film, ambientato all’Ilva di Taranto, è divertente anche per la naturale simpatia dei protagonisti, si piange invece quando ci si rende conto che sono fatti realmente accaduti che riguardano la Palazzina
Laf, acronimo di Laminatoio a freddo. Ovvero un reparto dell’acciaieria dove venivano confinati e mobbizzati gli impiegati che si opponevano al declassamento. Impossibilitata a licenziarli, l’azienda li condannava a far nulla. “L’idea nasce dal contrasto dei racconti di quello che successe all’Ilva negli anni Novanta, dove lavoravano anche mio padre e i miei zii, e dove c’era appunto chi diceva che c’erano alcuni personaggi, dei lavativi che rubavano lo stipendio. Comunque per me – dice Riondino, da sempre impegnato nel sociale – è un film politico ideologico e di parte. Ho impiegato tutto questo tempo per dire verità oggettive che hanno portato poi alla prima sentenza sul mobbing quando questa parola neppure si conosceva”. Il film, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public e poi in sala dal 30 novembre distribuito da Bim, ci porta alla fine degli anni Novanta, precisamente nel 1997, quando la cosiddetta ‘novazione’ del contratto, cioè la cancellazione del ruolo svolto fino a quel momento da impiegati per approdare una nuova posizione minore, da operai, portò a legittime proteste. Chi protestava finiva diritto alla Palazzina Laf dove si era appunto pagati per non fare nulla. Nel novembre del 1998 un processo condannò gli alti dirigenti dello stabilimento per questo comportamento, liberando finalmente le vittime di questi soprusi.
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