SALVATORE GIULIANO di Francesco Rosi (Ieri, Oggi e Domani)


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Premiato con l’Orso d’argento per il miglior regista al Festival di Berlino 1962, “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi più che un film è una vera e propria inchiesta sui fatti che hanno portato alla morte del bandito siciliano che dà il nome al lungometraggio. Il regista italiano Francesco Rosi è fra i primi a sperimentare quello che può considerarsi una sorta di nuovo genere, mischiando e confondendo le carte per far sembrare la finzione un documentario dando vita al film-inchiesta di impegno civile italiano.

Salvatore Giuliano | Poster

Salvatore Giuliano | Poster

“Salvatore Giuliano” viene trovato morto la mattina del 5 luglio 1950 a Castelvetrano (Trapani) ed è proprio dal ritrovamento del corpo che ha inizio il film. Un film che si sviluppa in una serie di flashback e di rimandi, avanti e indietro nel tempo, fino alla ricostruzione delle udienze processuali.

Si tratta del suo terzo film e rappresenta un modello di cinema che, sfruttando alcune caratteristiche di vari generi, le rielabora facendole proprie e trasformandole in elementi necessari a un nuovo tipo di racconto. Rosi si concentra sugli anni in cui culmina il miracolo economico italiano e porta sugli schermi la povertà della Sicilia della seconda metà degli anni ’40, ambiente e periodo nel quale si sviluppa il banditismo di Giuliano.

Siamo nel 1950 a Castelvetrano quando si apre la narrazione. Lì in quel momento viene trovato il corpo senza vita del bandito Salvatore Giuliano. Con un flashback torniamo indietro di cinque anni al 1945 quando i leader separatisti decidono di assoldare il bandito Giuliano e la sua banda per la causa dell’indipendenza della Sicilia. Subito dopo la narrazione torna al 1950 con le domande e gli interrogativi dei carabinieri, che non trovano risposte. Da questo momento inizia un susseguirsi continuo di passato e presente, con scene attuali intervallate da flashback che aiutano a comprendere il perché di certe azioni e certe decisioni.

Uno dei momenti cruciali della storia è il riconoscimento del corpo di Giuliano da parte della madre, una scena straziante e dolorosa tanto da essere definita da Martin Scorsese come la rappresentazione della madre per eccellenza nel cinema.

Un film con tutta una serie di vicissitudini che lo hanno reso ancor più un’opera interessante. Da una parte l’idea nata durante le riprese in Sicilia del film “La terra trema”, in cui Rosi era assistente del regista Luchino Visconti insieme a Franco Zeffirelli. All’idea, poi, si sommò anche un lungo lavoro di ricerca per reperire e consultare tutti i documenti ufficiali e atti processuali relativi alla vicenda del bandito Giuliano. Dall’altra parte c’è, invece, da tenere in considerazione il fatto che, a causa dell’incredibile cura dei particolari, il film fu rifiutato dalla Mostra del cinema di Venezia perché considerato “troppo documentaristico”. E, infatti, il film si è scontrato fin da subito con la questione della censura, addirittura all’inizio delle riprese.

Accanto alla ricerca precisa degli avvenimenti e allo sviluppo della narrazione, Francesco Rosi è riuscito a realizzare un film rimasto negli annali anche grazie all’aiuto di Gianni De Venanzo alla fotografia che, con diverse tonalità di bianco e nero, ha letteralmente segnato dei momenti evidenziandoli rispetto ad altri, e a quello di Mario Serandrei al montaggio. Rosi ha avuto modo di raccontare più volte e in più occasioni la difficoltà del progetto sia in fase di ideazione e creazione che in fase di sviluppo. All’inizio i problemi derivarono dalla produzione e dalle resistenze della famiglia Giuliano e della popolazione.

Se la scena del riconoscimento del corpo da parte della madre è ancora oggi annoverata come una delle scene per eccellenze di madri nel cinema e ha contribuito a rendere un grande classico il film di Rosi, c’è da dire che non è l’unica scena degna di nota del lungometraggio. Da menzionare, infatti, anche la lunga sequenza del processo contro alcuni esponenti del “banditismo” che ha il compito (riuscito) di risvegliare sia la storia che il pubblico che, in qualche modo, si sente

Una scena tratta dal film “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi – Recensione / Analisi Critica

maggiormente coinvolto in questi eventi drammatici che hanno trasformato, almeno per un certo periodo di tempo, la Sicilia in un luogo strettamente legato a questi avvenimenti.  

Con un impianto vicino a quello del documentario, “Salvatore Giuliano” si discosta, però, dai vincoli del genere e ne crea uno proprio, trasformando il cinema e l’argomento trattato in qualcosa di più.

Senza anticipare niente, almeno visivamente parlando, basti sapere che il finale del film, con un salto avanti, in contrasto con l’andamento del lungometraggio, non ristabilisce nessun tipo di ordine e non fornisce nessun tipo di risposta.

Solitamente il cinema di Rosi è un cinema improntato a coinvolgere, non tanto lo spettatore, quanto piuttosto il regista, la cui mano emerge inevitabilmente nella tela della storia. In questo caso, però, ciò non avviene. “Salvatore Giuliano” è forse l’opera nella quale il regista è rimasto più neutrale rispetto ad altri suoi titoli. Allo stesso modo anche il pubblico ne resta, in un certo senso, fuori, coinvolto solo dal vedere il susseguirsi dei fatti narrati. Un film che comunque, seppure strettamente legato a un evento preciso e a un personaggio, è in grado di spaziare e raccontare molto di più e ha tutte le potenzialità necessarie per raccontare e divulgare. Potrebbe quasi essere considerato un modo per aiutare a crearsi una “coscienza civile”, da proporre e riproporre. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI. (Analisi critica del film “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi a cura di Veronica Ranocchi)

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