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Trap di M. Night Shyamalan recensione poster

aspettiamo trepidanti fino ai titoli di coda ovvero quello in grado di trasformare Trap in un bel film, ecco, quello non arriva. Anche perché più di un colpo di scena ci vorrebbe un miracolo.

La filmografia di Shyamalan del resto, ex enfant prodige del cinema americano, oggi non più enfant e nemmeno prodige, si è ormai assestata –  dobbiamo farcene una ragione – su di un’onesta produzione di b-movie dal taglio televisivo, impreziosita qua e là da una delle sue genialate, tuttavia pervasa da quell’atmosfera casalinga e un po’ raffazzonata tipica appunto dei film per la TV, girati a basso budget e in tempi brevi.

Talvolta il film lo azzecca, vedi The visit o Split, ciononostante la cura e l’impegno dei bei tempi de Il sesto senso sembrano lontanissimi. In Trap ritroviamo il bel Josh Hartnett che accompagna la figlia adolescente al concerto di tal Lady Raven, una Taylor Swift dei poveracci, interpretata da Saleka Shyamalan, figlia di Michael che, cuore di babbo, non ne vede evidentemente i limiti.

Anche il concerto non deve essere granché e infatti il concerto non lo guarda nessuno essendo tutti in giro per i corridoi del palazzetto, chi per comprarsi una t-shirt, chi per farsi una birra, chi per andare in bagno. Insomma ci si inventa di tutto pur di non ascoltare Lady Raven. Così girovagando con fare svagato, il nostro si accorge di un dispiegamento sospetto di forze dell’ordine e scopre che il concerto in realtà non è che una trappola per catturare l’efferato serial killer meglio noto come Il macellaio (anche la fantasia ormai difetta).

Va da sé che l’operazione è segretissima (e abbastanza idiota: come si fa a trovare una persona di cui non si sa niente in mezzo ad altre 30mila?) ma a lui basta un occhiolino e un sorrisone per farselo confidare. E qui ci sarebbe il colpo di scena che, come dicevamo, ci viene svelato fin dal trailer: il macellaio è lui! TA TA TA TAAA!

La prima parte scivola via così, tutta dentro al palazzetto, con Hartnett che ostenta disinvoltura, sorride, ammicca, sobilla, persuade, convince, marpiona, mentre Shyamalan indugia su dei primi piani frontali, forse per suggerire l’immedesimazione con chi sta interagendo sul grande schermo.

I veri dolori  però giungono nella seconda parte, quando si esce dal palazzetto e il film comincia ad imboccare strade sempre più tortuose e incomprensibili, incastrandosi da solo in una serie di vicoli ciechi da cui non riesce più ad uscirne, una sequela di situazioni totalmente insensate, alcune contrarie perfino alle leggi della fisica, come quando Hartnett, servendosi probabilmente del teletrasporto, esce da un’auto circondata da decine di persone senza aprire nemmeno la portiera e senza che nessuno se ne accorga.

In questo senso la trappola del titolo è la trappola che Shyamalan si auto predispone facendo però la fine dell’escapista che prima si fa immergere incatenato in una vasca piena d’acqua poi non riesce a liberarsi e ci rimane secco. (La recensione del film “Trap” di M. Night Shyamalan è a cura di Mirko Nottoli)